Parlare di livelli di autismo ha senso in un contesto clinico e diagnostico, ma è importante capire che questa classificazione è principalmente un modo per descrivere i bisogni di supporto di una persona, non la complessità o la totalità della loro esperienza autistica. Ecco alcune riflessioni sul perché e quando questo concetto è utile e le sue limitazioni.
Perché parlare di “livelli di autismo” può essere utile
1. Strumento diagnostico clinico: permettono una comunicazione chiara tra professionisti su quanto supporto una persona potrebbe richiedere nella vita quotidiana, sia per l’interazione sociale che per la gestione dei comportamenti ripetitivi.
2. Pianificazione del supporto personalizzato: la categorizzazione in livelli può aiutare a determinare i servizi di cui una persona ha bisogno (ad esempio, supporto educativo, terapie comportamentali o assistenza nella vita quotidiana). Ad esempio, una persona al livello 3 potrebbe beneficiare di interventi intensivi e continui, mentre una al livello 1 potrebbe trarre vantaggio da un supporto focalizzato su contesti specifici.
3. Facilità di comunicazione: per le famiglie e i caregiver, sapere a quale livello di supporto corrisponde una persona può aiutare a spiegare rapidamente le sue esigenze a scuole, datori di lavoro o servizi pubblici.
Perché parlare di livelli di autismo ha delle limitazioni
1. Riduzione della complessità individuale: l‘autismo è uno spettro, il che significa che ogni persona ha una combinazione unica di punti di forza, difficoltà e bisogni. I livelli possono ridurre questa complessità a un’etichetta che non sempre riflette la realtà di una persona. Ad esempio, una persona “Livello 1” potrebbe avere gravi difficoltà sociali in alcune situazioni, ma eccellere in altre aree.
2. Cambiamenti nel tempo: i livelli di supporto non sono statici. Una persona può richiedere un supporto maggiore in alcune fasi della vita (ad esempio, durante un periodo di stress o cambiamenti significativi) e meno in altre. Classificare qualcuno in un livello può ignorare questa flessibilità.
3. Rischio di stigmatizzazione: etichette come “basso funzionamento” o “alto funzionamento” (spesso usate come sinonimi dei livelli) possono essere fuorvianti e stigmatizzanti. Una persona con buone abilità verbali (“alto funzionamento”) potrebbe avere serie difficoltà a livello sensoriale o emotivo, che non vengono prese in considerazione.
4. Ignorare i punti di forza: i livelli si concentrano sulle difficoltà, non sulle capacità o i talenti. Questo può portare a sottovalutare le potenzialità delle persone autistiche.
Quando è appropriato parlare di livelli di autismo?
- In ambito clinico o terapeutico: per stabilire piani di intervento o supporto personalizzati.
- Per la pianificazione educativa o lavorativa: per adattare programmi e ambienti alle esigenze di una persona.
- Quando richiesto dai sistemi di supporto: alcuni sistemi sanitari o scolastici utilizzano i livelli per allocare risorse, come insegnanti di sostegno o assistenza terapeutica.
Quando è meglio evitare?
- Nelle conversazioni quotidiane: parlare di “livelli di autismo può semplificare troppo l’individualità della persona.
- Per giudicare il valore o la capacità di una persona: i livelli di autismo infatti non determinano chi è la persona, ma solo i suoi bisogni di supporto.
Conclusione
Parlare di “livelli di autismo” è uno strumento pratico e funzionale in certi contesti, ma deve essere usato con cautela. È essenziale ricordare che ogni persona nello spettro autistico è unica e che i livelli di supporto non rappresentano una misura assoluta del loro valore, delle loro capacità o del loro potenziale. L’obiettivo principale dovrebbe essere sempre quello di adattare il supporto alle esigenze individuali.